Un film

Qualche giorno fa ho avuto l’occasione di guardare un film, Amore garantito. È il classico film stagionale, per il Natale, romanticismo stucchevole, cliché e stereotipi in ogni sequenza, poca sostanza, qualche buon sentimento.

Tuttavia, mi ha colpito per un particolare. La trama tratta infatti di un giovane e aitante fisioterapista che decide di ingaggiare una altrettanto giovane, aitante, piena di principi e ideali avvocatessa per fare causa a un sito di incontri che garantisce l’amore, ovvero che si troverà la propria anima gemella, sicuramente prima di 1.000 appuntamenti.

Il nostro protagonista è arrivato a 986 incontri e non ha ancora trovato l’amore e arriverà a 1.000 nel giro di un paio di giorni. Dal momento che il sito fa una promessa fasulla, e garantisce l’ingarantibile, in quanto non è possibile dare la certezza di una relazione, l’aitante fisioterapista decide di ingaggiare l’avvocatessa per fare causa alla potente multinazionale per truffa e chiedere milioni di dollari per danni.

Il film, se visto con l’occhio alle relazioni profonde, tocca un tema interessante e importante: la paura di essere lasciati.

Se in una commedia possiamo comprendere e accettare che effettivamente l’amore non è assicurato e può sembrarci sensato, tuttavia nei vissuti e nella mia esperienza di clinico mi sono accorto del contrario: alla fine il desiderio di sicurezza e di avere la certezza che l’altro ci amerà e che non verremo lasciati è molto forte, quasi irrazionale, tanto da portare con sé sofferenza psicologica, angoscia e paura.

 

Paura e rischio in amore

Nelle relazioni affettive profonde, come quelle di coppia, possiamo provare due paure:

  1. la paura di non essere corrisposti;
  2. la paura di essere lasciati.

Il primo tipo di paura ha a che fare con il giudizio: possiamo essere attratti da qualcuno/qualcuna, ma questi non è attratto da noi, per cui ci sentiamo non amabili e ne risente non solo il nostro amor proprio, ma la nostra autostima: ci sentiamo feriti nell’intera persona.

Il secondo tipo di paura invece ha a che fare con quella che chiamerei «costanza degli affetti», ovvero con l’idea che le relazioni sono instabili, i legami labili e le persone volubili. Questo comporta la convinzione che l’amore finisce all’improvviso, come premendo un interruttore possiamo accendere o spegnere una luce: in un momento c’è in un altro no, senza avvisi, senza possibilità di appello.

 

Provare ad assicurarci: i nostri modi per gestire il rischio amoroso

Il bisogno di contatto e avere legami affettivi è insito nella natura umana. In psicologia tali necessità sono definite da due sistemi motivazionali: quello dell’attaccamento e quello della sessualità.

Se le cose stanno così, come cerchiamo di affrontare allora le nostre paure in amore e gestire il rischio del rifiuto e dell’abbandono?

Mi viene da elencare qui di seguito alcune strategie, tutte insoddisfacenti e che definirei illusioni.

Illusione dell’autonomia: se l’altro mi rifiuta o mi lascia, cerco di essere il più autonomo e indipendente possibile, distaccato, così se accade non soffrirò: nessun coinvolgimento, nessun dolore. La conseguenza di questa idea è non investire in un rapporto, non legarsi e aspirare all’indipendenza assoluta, come fa il protagonista del film più sopra citato. Ciò non vuol dire essere freddi e distaccati, non necessariamente, si può essere accudenti, gentili, ben disposti, ma mai fino in fondo.

Risultato: il costrutto che da soli è meglio che in due, che se mi attacco all’altro divento dipendente e sono più debole, perché più fragile ed esposto al dolore della perdita, mi impedisce di godere di una relazione fino in fondo e di avere un legame affettivo che sia davvero tale. Non è raro che l’altro o l’altra, non sopportando questo distanziamento, effettivamente poi si stacchi del tutto, in una profezia che si auto avvera.

Illusione del controllo affettivo: un’altra possibile reazione è l’ipercontrollo. L’angoscia da separazione si esprime in continue richieste di feedback da parte del partner e di attenzione.

Messaggi continui, controllare che abbia letto i nostri WhatsApp (la dipendenza da baffo blu la definirei), attenzione spasmodica a ogni suo modo di dire, a ogni sua espressione, a ogni suo comportamento di attenzione o di distrazione (come quando si è assenti perché preoccupati per altro, per esempio il lavoro, i figli, la salute ecc.). Se controllo cosa fa e cosa dice il mio partener capirò se mi vuole lasciare.

Risultato: l’esasperazione dell’essere controllati porta alla profezia che si auto avvera come più sopra.

Illusione della fatalità: qui entra in gioco un altro costrutto, diremmo noi psicologi, ovvero un sistema di idee organizzate che portano a una regola, a un assioma, che in questo caso può essere riassunto in: «All’amor non si comanda».

Il fatto che c’è una forza fuori da noi, ci toglie dalla responsabilità di una relazione e il rifiuto dell’altro brucia meno: non dipende da me, è l’amore che mi fa sentire attratto dall’altro e se l’altro non mi vuole, dal momento che questo sentimento non posso controllarlo, mi travolge e ne sono vittima, per cui la sofferenza può anche diventare dolce, mi fa sentire che provo qualcosa, ma il risultato rimane tale: la ricerca costante dell’altro, la sordità al suo rifiuto e la chiusura alla possibilità di altre relazioni e al rischio che comportano.

 

Quando l’amore brucia: pompieri di noi stessi

Nel film c’è una battuta che mi ha colpito. Un vecchietto dice all’aitante cliente dell’avvocatessa di nome Susan:

Vecchietto. «Cos’è che ti frena, hai avuto già più di 1.000, incontri cosa ti costa affrontarne uno di più?!»

Protagonista: «No, ma Susan non è come le altre»

Vecchietto: «Esatto! Ti fa paura vero? Sai, tu giochi sempre dove l’acqua è bassa, non è che lì troverai l’amore; per trovarlo devi provare a buttarti»

Protagonista: «E se annegassi?»

Vecchietto: «E se nuotassi?»

L’amore comporta rischi, questo non è qualcosa che si può evitare; e con i rischi comporta anche dolore, il dolore dell’essere traditi, il dolore dell’essere delusi, il dolore di non essere amati. Quando succede brucia, come bene esprime Johnny Cash nella sua canzone The ring of fire (il cui testo, molto significativo e che ben esprime quanto sto dicendo, trovate qui in originale e qui la musica), e spesso noi abbiamo paura di questo dolore, tanto da volerlo a evitare con tutte le nostre forze, ma così facendo rischiamo di non poterci dare la possibilità di una relazione e di una esperienza di contatto e legame.

Soffrire è il rischio, ma credo anche che questa sofferenza possa essere tollerata, che abbiamo gli strumenti per farlo, attraverso i legami importanti della nostra vita, gli altri significativi vengono chiamati in psicologia, a partire dai genitori, fino ad arrivare agli amici e, perché no?, anche il nostro terapeuta se lo abbiamo. Persone che ci sono e la cui presenza e pronto ascolto permettono di costruire quella rete di condivisione che ci sorregge e ci fa superare il bruciore della delusione, la rabbia del legame spezzato, la tristezza dell’abbandono.

Un altro elemento importante di protezione è comprendere a fondo che l’amore non è un click, che non si spegne all’improvviso, ma che può essere gestito e si può capire insieme se esistono difficoltà e quali sono gli aspetti che possono aiutare od ostacolare la soddisfazione di coppia, come ho scritto in questo post.

Infine, non esistono assicurazioni, ma la fiducia rimane una variabile importante in ogni relazione: fidarsi di sé e del fatto che si è capaci di nuotare (per riprendere la metafora più sopra), fidarsi dell’altro che è in grado di nuotare e di aiutarci e così riconoscerlo e valorizzarlo.

Le relazioni hanno sì una dimensione di autonomia, ma anche una di dipendenza e l’equilibrio tra questi due aspetti, tra l’aiutare e l’essere aiutati, deriva dal riconoscere che possiamo essere fragili e al tempo stesso essere capaci di chiedere aiuto, ma che siamo amabili sia quando siamo forti sia quando siamo deboli. E sempre e comunque, in quanto persone, sia che siamo soli sia che siamo in coppia.