Oggigiorno si parla di leader e leadership in tutti i campi, a partire da quello politico con figure come Donald Trump all’estero o i nostri politici in Italia, fino a quello organizzativo con figure imprenditoriali come Sergio Marchionne, recentemente scomparso.

Certamente quando pensiamo ai leader pensiamo a grandi personaggi, a figure carismatiche, e il confronto con i superiori, responsabili, capiufficio, dirigenti, direttori generali o amministratori delegati della nostra esperienza lavorativa può a volte risultare impietoso e perdente.

Ma cosa vuol dire essere leader? Cosa significa avere leadership?

 

Un antico mito: il superuomo

I leader sono quelli che hanno particolari talenti. Il vero leader è più forte, più intelligente, più astuto, più intuitivo, più appassionato, più assertivo, più autoritario, più estroverso, più bisognoso di raggiungere obiettivi o di avere potere, più sicuro di sé, più attento, più tenace di tutti.

Questo modo di considerare il leader sottende una convinzione che è legata alla personalità e, di conseguenza, al fatto che leader si nasce, non si diventa. Infatti, in questo caso, il leader è colui che presenta dei tratti di personalità (quelli citati in precedenza sono alcuni), che per loro definizione sono innati, che nessun altro possiede, ed è predestinato a comandare.

In verità, questa convinzione nasce da lontano e dagli psicologi stessi che, nelle loro prime ricerche sulla leadership (a partire dagli anni ’40 del secolo scorso), si sono dedicati a scoprire quali fossero le caratteristiche di personalità che rendevano un leader tale, del tutto analoghe a quelle citate a inizio del paragrafo, salvo scoprire non solo che si trovavano sempre più e sempre diverse caratteristiche a seconda dei test e questionari di personalità utilizzati per cercarle, ma, alla prova dei fatti, chi le aveva non necessariamente era poi un leader.

Noi tutti tendiamo ad attribuire alle persone dei tratti di personalità per giustificarne il comportamento, ma non bastano questi per fare un leader, certamente aiutano: difficilmente una persona timida, paurosa, con difficoltà nei rapporti interpersonali, incapace di prendere decisioni potrà essere un leader, ma, allo stesso modo, non possiamo essere sicuri che lo sarà una persona responsabile, coraggiosa, risoluta e capace di relazioni.

 

L’eterno dilemma: obiettivi o persone?

Se non è la personalità che fa il leader allora che cosa è? Una risposta ci viene dall’osservazione del comportamento. Ci sono leader che sono sempre e costantemente orientati al raggiungimento degli obiettivi e lo fanno in modo molto determinato: che sia un budget, un fatturato, un parametro di produzione o uno di qualità, quello che conta è arrivare a quel punto, a quell’indice, costi quel che costi. Ci sono leader invece che si preoccupano della motivazione dei propri sottoposti, che si preoccupano del clima sociale che si respira nel gruppo, che si orientano alle esigenze delle persone del gruppo,

Questi due tipi di leader sono stati etichettati in due diversi modi: il primo leader orientato al compito, il secondo leader orientato alle relazioni (o socioemotivo). Per diverso tempo si è pensato che il leader dovesse fare i conti con questo dilemma: raggiungere gli obiettivi, rischiando però di avere un gruppo scontento o avere un gruppo soddisfatto per le relazioni affettive e rischiare di non ottenere i risultati?

In verità le due cose non sono poi così incompatibili, ma possono essere integrate: si è visto infatti che vi sono leader che, capaci di tenere presente sia le relazioni sia gli obiettivi, riescono a gestire team affiatati ed efficaci, questi leader adottano uno stile di team, ma, all’opposto, ci sono responsabili che non tengono conto né degli obiettivi né delle persone, ma occupano solamente un ruolo, e questi leader utilizzano uno stile di leadership povero o laissez-faire, con conseguenze molto negative sia sul clima nel gruppo (conflitti e alta frustrazione) sia sulla sua efficacia (impossibilità di ottenere risultati).

 

Un nuovo modo di essere leader e di gestire la leadership

Quello che oggi emerge come significativo è l’importanza, nel gestire un gruppo (ovvero esercitare la leadership) di tenere presente alcuni aspetti, che sembrano banali, ma banali non sono:

  • gruppi formali: ogni gruppo è formato da persone che non si sono scelte, ma che vengono reclutate nel gruppo in base alle esigenze organizzative e alla struttura dell’organizzazione stessa, questo tipo di gruppi viene detto formale;
  • obiettivi interni ed esterni: i gruppi di lavoro hanno obiettivi, ma questi obiettivi si caratterizzano per non essere scelti, ma forniti dall’organizzazione, per questo sono detti obiettivi esterni. A differenza di un gruppo di amici che decide dove trascorrere le vacanze e dove (obiettivi interni), i gruppi di lavoro non decidono i propri obiettivi.
  • bisogni individuali e bisogni organizzativi: in ogni gruppo le persone entrano con i propri bisogni, con le proprie aspettative, con i propri obiettivi e questi si confrontano con gli obiettivi del gruppo e chi è responsabile del gruppo si trova a fare i conti con questi due tipi di bisogni: quelli dell’individuo e quelli dell’organizzazione/gruppo.

Questi aspetti comportano che chi è a capo di un gruppo si trova a integrare i bisogni organizzativi con i bisogni del gruppo, sottolineo integrare e non mediare, perché le mediazioni comportano spesso rinunce in un senso e in un altro tra le parti, mentre l’integrazione permette una soddisfazione completa di entrabe le parti: iddividuo e gruppo.

Il leader efficace è colui che agisce in modo da far sì che i propri seguaci acquisiscono gli obiettivi del gruppo come obiettivi propri e, così facendo, costruisce un senso di appartenenza e integrazione tra i membri del gruppo tali che le persone cominceranno a parlare del gruppo e di loro utilizzando «noi» e non «io».

 

Il potere come servizio agli altri e non come vantaggio per sé

Il leader dunque usa il potere per sviluppare questo «senso del noi» e per fare ciò è necessario che adotti comportamenti etici.

Qualsiasi leader decade come tale nel momento in cui i seguaci prendono consapevolezza che ha usato il potere per scopi personali. Quante rivoluzioni infatti hanno avuto luogo nel momento in cui il popolo o i sudditi hanno scoperto che il leader accumulava ricchezze per sé, e quante protete sono state sedate nel sangue per lo stesso motivo. Anche in politica i leader di partiti hanno perso la leadership (e a volte dato le dimissioni) quando sono stati scoperti a utilizzare risorse per se stessi o, come nel caso di Nixon nel Watergate o Clinton nel caso della stagista Monica Lewinski, hanno mentito per il proprio vantaggio.

Oggigiorno si sta guardando alla leadership (ovvero a come si esercita il potere da parte dei leader) considerando alcuni aspetti fondamentali:

  • il leader è colui che si mette a servizio dei suoi seguaci, che ne sviluppa le potenzialità, cerca di conoscerne i bisogni, proprio nella prospettiva che soddisfacendo i bisogni di autorealizzazione delle persone, queste a loro volta soddisferanno i bisogni del gruppo e i suoi obiettivi, divenendo questi parte della realizzazione di se stessi;
  • il leader è colui che fornisce una direzione, sviluppa un’idea del gruppo, la condivide, definisce un senso del noi:
  • il leader è colui che è in grado di comunicare in modo efficace con i propri membri, conoscere le esigenze di questi significa infatti saper ascoltare, essere capaci di attivare il problem solving, avere competenze relazionali come l’empatia e capacità di cura (sulle maggiori competenze manageriali potete consultare questa parte del sito);
  • il leader è colui che agisce per gli interessi del gruppo e non per vantaggi personali;
  • il leader è colui che mette in campo e realizza con i suoi comportamenti i valori del gruppo, i principi, l’idea che il gruppo si è fatta di se stesso, in altre parole, il senso del noi.

 

Leader si nasce o si diventa?

Alla fine di questo post risponderei alla domanda che leader si diventa, più che si nasce, certe caratteristiche che sono relative alla nostra personalità, come l’autostima, la forza nel perseguire obiettivi, la prontezza nell’assorbire lo stress interpersonale, la tendenza a prendere l’iniziativa nelle relazioni, nonché una certa intelligenza emotiva e intelligenza cognitiva sono tutti elementi che favoriscono lo sviluppo di comportamenti da leader (ovvero la leadership), ma non sono sufficienti per diventare leader.

Il leader sviluppa una visione, dà una direzione, condivide una rappresentazione del gruppo, ha fiducia nella realizzazione dei propri sottoposti e una visione positiva della natura umana, sviluppa un senso di identità coerente con il mandato organizzativo ed esprime un’etica che rafforza la sua immagine di responsabile orientato agli interessi del gruppo.

Essere leader significa comportarsi da leader e il comportamento è qualcosa che io posso apprendere, coltivare e mantenere.

Per approfondire potete consultare il mio libro reperibile nelle librerie o su

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Infine, una mia intervista sui gruppi di lavoro potete trovarla qui.