Nuovi schemi per un nuovo mondo del lavoro che ancora non c’è

 

 

La situazione attuale ha portato sicuramente nuove richieste di adattamento da parte delle organizzazioni e dei lavoratori; richieste che tutt’ora permangono. Tutti noi siamo consapevoli che passata la pandemia niente sarà come prima, ma al tempo stesso non sappiamo davvero cosa sarà.

Nell’avventurarmi a trattare questo tema, prendo a prestito il pensiero di un grande studioso della psicologia dell’età evolutiva, Jean Piaget, che definì lo sviluppo secondo 3 meccanismi di base:

  1. Assimilazione che comporta l’applicazione degli schemi in possesso alla nostra esperienza.
  2. Accomodamento, che consiste invece nel modificare gli schemi per adeguarli all’esperienza assimilata.
  3. Organizzazione, ovvero il collegamento degli schemi che abbiamo tra loro.

Credo che con la pandemia le organizzazioni abbiano applicato prima di tutto i propri schemi assimilati, per poi adattarli alle esigenze dell’ambiente, ma non siano ancora in una fase di loro organizzazione, che possa portare a una nuova assimilazione e a nuovi schemi e rappresentazioni adatti a quanto questa esperienza ci chiede, al fine di governarla.

Siamo a metà del guado e l’incertezza che tutti noi proviamo ce lo dice.

Proverò a fornire una mia idea di come questi schemi siano cambiati e come ci siamo adattati. Una proposta su come organizzarli sarà la vera sfida per tutti noi, qui condividerò un modo di pensare e analizzare la cosa, secondo le categorie della psicologia, e in particolare della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, e tenterò una piccola proposta.

 

Schema 1. L’idea di persona per le organizzazioni, la prima sfida all’accomodamento

 

Negli anni ’60 del secolo scorso, uno studioso americano, McGregor, delineò due grandi idee che le organizzazioni potevano sposare riguardanti la natura umana e che definì Teoria X e Teoria Y.

Secondo la Teoria X le persone sono tendenzialmente pigre, passive, egoiste e motivate da incentivi esterni (il salario), in altre parole pensano a massimizzare i propri interessi a scapito di quelli dell’organizzazione.

Secondo la Teoria Y, invece, le persone sono tendenzialmente responsabili, attive e creative, motivate al raggiungimento degli obiettivi organizzativi non in funzione di incentivi esterni, ma anche in funzione degli obiettivi che si sono prefissate (autoregolazione). In altre parole, le persone, se vi sono condizioni favorevoli, accettano e cercano le responsabilità e si identificano con gli obiettivi dell’organizzazioni cui appartengono.

Questi due assunti, o schemi, comportano diverse modalità e strategie di gestione delle persone.

Potremmo ipotizzare che le organizzazioni che sposano la Teoria X avranno una gestione controllante del personale. I responsabili delle risorse umane e le dirigenze con questo schema della natura umana (e non sono pochi in Italia), utilizzeranno sistemi di controllo stringenti, una organizzazione del lavoro molto strutturata e basata sulla divisione del lavoro parcellizzata e definita, perché operativamente controllabile, una divisione delle persone in ruoli che minimizzino le interazioni e l’autonomia.

Le organizzazioni con una Teoria Y, a loro volta, proporranno strutture di organizzazione del lavoro flessibili, che favoriscono autonomia e interazione, che portino a valorizzare la responsabilità e la creatività e al tempo stesso l’identificazione e l’integrazione tra obiettivi personali e obiettivi organizzativi.

Il lavoro a distanza (smart working) cui siamo stati costretti a ricorrere a seguito delle misure di contenimento della pandemia e delle restrizioni ad esse associate con i diversi DPCM, tuttora presenti e attivi, ha comportato una rivoluzione degli schemi e delle relative teorie di uomo.

Certamente possiamo dire che oggigiorno la Teoria Y è più adattiva della Teoria X. Nonostante questo, è anche vero che alcuni lavori, meccanici e parcellizzati, si è potuto esportarli più facilmente, e organizzazioni a Teoria X hanno trovato altri modi per controllare il lavoro dei propri dipendenti, attraverso sistemi informatici.

Tuttavia, con grande sorpresa, diverse organizzazioni hanno visto che la produttività non è calata, come si sarebbero aspettati lasciando autonomia nel gestire il lavoro da casa, anzi, in alcuni (forse potremmo affermare molti) casi è addirittura aumentata.

Questo sta comportando un cambiamento di schema, lo smart working, un tempo leva motivazionale, ovvero incentivo esterno, per favorire la produttività, il benessere e la conciliazione lavoro-vita privata, è diventato uno strumento utile a soddisfare i bisogni dell’organizzazione. Le cose sembrano essersi rovesciate da: «Ti concedo il lavoro da casa per le tue esigenze» a «Ho bisogno che tu lavori da casa per mantenere la continuità produttiva». Le lotte dei sindacati per il telelavoro di qualche hanno fa sembrano storia.

Schemi nuovi per nuove esigenze (accomodamento), ma anche schemi nuovi che porteranno a nuove organizzazioni. Mi sembra (e vorrei sperare) che la Teoria X sia stata confutata dalla prova dei fatti e dalla storia.

 

Schema 2. La relazione persona organizzazione: una questione di legami non solo legali, ma anche affettivi

 

Quello che lega una organizzazione e le persone sono i contratti, contratti collettivi, contratti a tempo indeterminato, flessibili, di consulenza ecc. Ma è davvero tutto qui? Naturalmente no, e anche qui la psicologia propone una propria lettura e uno schema.

In questo caso riprendo le riflessioni di un nostro importante studioso italiano, psicologo del lavoro e delle organizzazioni e mio maestro, Guido Sarchielli. Nel considerare la relazione tra persona e organizzazione, egli individua tre importanti dimensioni:

  1. Relazioni di scambio: il legame in questo caso è definito in modo economico: prestazione a fronte di un salario.
  2. Relazioni di appartenenza: il legame in questo caso è di tipo psicologico e ha a che fare con il livello di identificazione e di coinvolgimento nell’organizzazione;
  3. Relazioni tecnico-fattuali: in questo caso il fulcro della relazione riguarda i contenuti del lavoro: le conoscenze tecniche e le procedure da mettere in atto per portarlo a termine.

Nel costruire il legame con l’organizzazione queste tre dimensioni possono essere presenti in quantità diverse, alcune possono risultare più importanti di altre, e questo può condurre a identificare anche forme diverse di lavoro.

Pensate a un tirocinante o stagista o apprendista che dir si voglia; il suo obiettivo è imparare un mestiere e valuterà il proprio legame con l’organizzazione in funzione di quanto questa le può fornire conoscenze ed esperienze importanti per la propria crescita professionale, al punto da accettare anche di non essere pagato. In questo caso la relazione tecnico-fattuale sarà predominante rispetto alle altre due.

Diversamente, nel volontariato, l’appartenenza potrà essere predominante rispetto al resto o, seguendo il ragionamento, nel cercare un lavoro che mi permetta di mantenermi e concentrandomi solo su quello, la dimensione di scambio potrà prevalere sulle altre.

Certo non è tutto così assoluto e semplice, ma cosa comporta questo oggi che stiamo strutturando relazioni mediate dal computer, che stiamo affrontando riunioni virtuali, che ci troviamo soli davanti agli schermi e a casa?

Ebbene, pensando a questo schema, la mia idea che le relazioni di appartenenza tenderanno sempre meno a essere coltivate, anche frustrando i nostri bisogni sociali, mentre quello che emergerà sarà la prestazione, il fatto di raggiungere gli obiettivi; e questo potrebbe portarci a notare di più gli aspetti economici, di scambio, il dato, il risultato.

Il legame individuo organizzazione sta cambiando, al prezzo però di un maggiore isolamento e una appartenenza più diluita. Più efficienti, più conoscenze tecniche (tutti stiamo imparando a usare i più diversi programmi di video chiamata e a fare riunioni virtuali), ma anche più soli. Forse più vicini a un libero professionista che fornisce una prestazione per cui è pagato e a cui non si chiede identificazione con l’azienda che a un dipendente «della vecchia guardia».

 

Organizzare gli schemi: Il refrain «Non sarà più come prima», ma come sarà?

 

C’è molto di più, mi rendo conto, e la psicologia ci dà molte più letture e complesse (basti pensare alle carriere e alle nuove organizzazioni), e la letteratura scientifica è ricca e infinita. Non solo, i post sono tanti e io stesso in questo momento ne aggiungo un altro, l’ennesimo.

Nel condividere queste riflessioni, il mio obiettivo è proporre una lettura e un punto di vista che non vuole essere assoluto. Integrare gli schemi (organizzazione, secondo Piaget) credo non sia ancora possibile e, di conseguenza, credo che non possiamo ancora rispondere alla domanda come sarà, ma forse, a partire da questi schemi possiamo tirare ugualmente alcune conclusioni.

  1. Con la pandemia le organizzazioni hanno scoperto che ci si può fidare dei propri dipendenti e, mi auguro, si sono accorte che questi non sono soggetti passivi eterodiretti. Non è bastato infatti dare un computer a casa per far sì che si continuasse a produrre; si sono moltiplicate le iniziative per mantenere i ritmi, la creatività di tutti i lavoratori ha condotto a nuove e mai viste prime soluzioni organizzative e a non poche sorprese da parte di manager, dirigenti e consigli di amministrazione.
  2. Con la pandemia le persone si sono ritrovate a dover gestire in modo diverso le relazioni con il proprio lavoro: con la dimensione dell’appartenenza frustrata, con maggiori richieste di adeguarsi rispetto alla tecnica e alle procedure (pensate alla Didattica a distanza per gli insegnanti), con maggiori oneri dal punto di vista finanziario non sempre compensati dagli incentivi e adeguamenti economici.

Quello che credo possa accadere, e qui sta una possibile organizzazione di schemi, potrebbe essere che il lavoro a distanza continuerà, che le organizzazioni si troveranno a dare più autonomia e responsabilità ai propri dipendenti, che questo comporterà maggiore fiducia da parte di esse e delle risorse umane, ma al tempo stesso una partita si giocherà anche sulla costruzione delle relazioni tra persone e organizzazione.

Sarà infatti necessario curare questo aspetto, in quanto il lavoro a distanza richiede competenze tecniche e procedurali per la prestazione e, al tempo stesso, nuove competenze e nuove richieste (a partire da autonomia e responsabilità) comporteranno anche attenzione allo scambio denaro-prestazione. Questo rischia di far passare in secondo piano l’importanza dell’appartenenza, non solo come bisogno sociale, ma anche come risorsa per affrontare le nuove richieste di autonomia e responsabilità.

Dobbiamo credo evitare il rischio di diventare tutti, nei fatti, isole, monadi in una organizzazione parcellizzata e frammentata.