Quando la scienza non riesce a rassicurarci
Che cosa c’è di più certo dei nostri pensieri? Che cosa di più sicuro delle nostre percezioni? Su quanto ascoltiamo, vediamo e sperimentiamo costruiamo le nostre certezze e le nostre opinioni e ad esse ci aggrappiamo con saldezza.
La nostra esperienza è un terreno su cui poggiamo e costruiamo noi stessi, le nostre opinioni le nostre decisioni, ed è un terreno che riteniamo saldo e solido, che difficilmente mettiamo in discussione.
C’è pero un caso in cui tutto questo non riesce a reggere, ed è quando l’esperienza e le informazioni che riceviamo sono talmente tante e talmente diverse da rendere quello che crediamo certo, incerto e quello che era solido, fluido. Allora sentiamo la vertigine e l’ansia che ci rende insicuri o ci chiudiamo in un mondo di certezze indiscutibili, anche se lontane dal reale. Diventiamo assoluti o dubbiosi, senza via di mezzo.
In questi giorni, mesi, anni siamo stati e siamo bombardati da numeri su numeri, da statistiche e da probabilità, nell’idea che queste informazioni, legate alla nostra salute, sianoi utili, ma utili non sembrano essere. Come mai?
Il nostro cervello non ama la statistica
Provo a rispondere con alcune riflessioni che riguardano la statistica, che è un pilastro della scienza, ma che invece è ciò che ci è più lontano e alieno dal nostro modo di ragionare, di tutti noi. Ognuno di noi, comprese le scienziate e gli scienziati, tendono a ridurre la probabilità a certezza, l’incerto a certo, il plurale all’uno, la complessità alla semplicità e questo funziona per la maggior parte della nostra vita, ma non per tutto.
Eminenti psicologi di tutto il mondo, a partire dai premi nobel per l’economia Amos Twersky e Daniel Kahneman per giungere a eminenti studiosi italiani come Paolo Legrenzi e Rino Rumiati, hanno studiato e trovato una serie di meccanismi che utilizziamo in automatico per gestire la complessità e che oggi sembrano andare più che mai in crisi, quando in gioco appunto c’è la nostra salute e l’ansia ad essa associata quando la vediamo a rischio, con i vaccini e la loro efficacia. Provo a descrivere tre meccanismi che a mio avviso spiegano la nostra incertezza e che credo dovrebbero essere tenuti in considerazione da chi oggi ci sta guidando.
La correlazione illusoria
Vivo a Bologna e qui c’è una tradizione che ormai viene seguita da centinaia di anni. La settimana prima della festa dell’Ascensione, ai primi di maggio, il sabato, per la precisione, l’immagine della Madonna di San Luca, ovvero un’icona della Madonna con bambino conservata nella omonima basilica sul Colle della Guardia alle porte della città, viene portata con una solenne processione nella Basilica di San Pietro in centro a Bologna. Ebbene, quel sabato, e tutta la settimana, il tempo è incerto, con una grande probailità di rovesci. In tutta Bologna non troverete una persona, me compreso, che non dica quel sabato: «Piove, del resto oggi viene giù la Madonna». È una certezza, basata su una correlazione, ovvero una relazione di covariazione tra l’evento della processione e il tempo. Nessuno di noi lo ammetterebbe razionalmente, ma tutti lo credono: «Quando viene giù la Madonna di San Luca, piove». La Madonna causa il maltempo, in una illusione: il mal tempo è dovuto a ben altro e la probabilità che in quel periodo dell’anno ci siano precipitazioni è altissima e dipende dalla Fisica, ben spiegata dai modelli meteorologici, ma il fatto che al variare di un evento ne varia un altro ci fa pensare che uno sia causa dell’altro.
La probabilità mentale dipende da ben altro che una formula
La probabilità che un determinato evento accada in matematica è data da una formula ben precisa, ovvero il rapporto tra il numero di eventi totali e il numero di eventi che consideriamo, una formula precisa che fornisce informazioni precise, ma non è certo quella che utilizziamo noi nella nostra vita di tutti i giorni.
Anche qui condivido un’esperienza che forse è capitata anche ad altri di voi che mi leggono. Mi è accaduto di voler cambiare la mia automobile. Come molti ho preso informazioni sui modelli, per poi decidere per uno preciso, che sono andato a guardare in concessionaria e magari anche su internet. Ebbene, nel periodo in cui stavo attendendo l’arrivo del modello ordinato e nei primi tempi di utilizzo mi è capitato di notare in giro diversi possessori del medesimo modello, arrivando a pensare che la mia non era stata certo una decisione originale. Una volta, un concessionario mi disse: «Di questi modelli ne stiamo vendendo diversi, ma la probabilità di vederne due parcheggiati nella via non è molto alta, perché dovremmo venderne diverse migliaia in un anno». Nonostante questa osservazione io continuavo a essere convinto di aver preso una decisione per nulla originale. I numeri della formula mi dicevano una cosa, la mia sensazione un’altra.
Ma perché?
Ebbene, gli studiosi di psicologia del pensiero, che ho citato prima, hanno ben spiegato questo fenomeno. Il fatto di portare la mia attenzione a quel determinato modello di auto, fa sì che quando lo incontro lo noti più di altri; e se ci penso mi viene più facilmente alla memoria, per cui per me è più disponibile al recupero rispetto a qualsiasi altra auto, e così facilmente penserò che ce ne siano di più in giro di quello che in realtà non è. Allo stesso modo se notiamo una bella fuoriserie costosa, crediamo che ci siano più persone di quanto in realtà non sia realmente che se la possano permettere.
Questo fenomeno, chiamato «euristica della disponibilità», ci fa stimare alcuni fenomeni più probabili di altri perché ce li ricordiamo meglio.
Confermare e falsificare
Infine, veniamo a un altro nostro modo di pensare in forma automatica, ovvero la tendenza a confermare le nostre supposizioni e aspettative.
La Psicologia sociale negli anni Ottanta del secolo scorso ha constatato come tutti noi, indipendentemente da estrazione sociale e cutlturale, tendiamo a cercare nell’esperienza le informazioni che confermano le nostre aspettative, le nostre credenze e i nostri atteggiamenti. Questo fenomeno è stato chiamato bias di conferma. È un bisogno innato di coerenza interna che abbiamo. Così, quando ci formiamo una prima impressione di una persona, poi tendiamo a cercare nella relazione con lei le informazioni che tendono a validare questa impressione, al punto che la persona potrebbe fare i salti mortali nel tentativo di farsi vedere diversa da come la pensate, ma sarebbero solo «eccezioni che confermano la regola».
La scienza invece ragiona all’opposto, ovvero ogni affermazione che viene fatta per essere verificata deve essere falsificabile, per cui quello che conta non è la conferma, ma la falsificazione delle affermazioni e solo le informazioni che si possono falsificare sono valide e attendibili.
Salute, vaccini, paure e percentuali
Cosa producono dunque queste modalità di pensiero?
Innanzitutto vorrei sottolineare che i meccanismi che vi ho descritto non conducono a errori, ma la maggior parte delle volte funzionano e funzionano bene permettendoci di gestire velocemente ed efficacemente l’enorme mole di informazioni che il vivere quotidiano ci presenta.
Entrano in crisi quando il mondo si fa più complesso e l’incertezza aumenta.
Una persona batte milioni di persone
Così oggi i social media, i giornali, la televisione, tutto il mondo si premura di farci sapere che una persona è stata male, per non dire che ha perso la vita, dopo aver preso una dose di vaccino. È una informazione terribile, emotivamente carica, che sposta la nostra attenzione a quell’evento, che ricorderemo davvero bene, e sarà davvero disponibile alla nostra memoria: possono portarci i dati di migliaia di persone che non hanno avuto nulla, ma quella che ricorderemo è la giovane ragazza che ha perso la vita, il cinquantenne che è stato ricoverato e lotta con la morte. Questi annulleranno nella nostra mente la massa di persone che ora sono al sicuro e stanno bene.
Come abbiamo visto prima, più una cosa ci viene in mente più la giudichiamo probabile, per cui tutto questa aumenta la nostra sensazione di insicurezza e annulla le percentuali di vantaggio che abbiamo nel vaccinarci.
Nella salute le percentuali non contano
Se devo prendere una decisione medica possono dirmi quante probabilità ho di guarire o meno (e questo fanno i medici e il consenso informato), a seguito di una operazione, dell’assunzione di un farmaco o di un protocollo. Possono dirmi anche le percentuali di complicazioni e di effetti collaterali a cui posso andare incontro, ma queste percentuali, per quanto precise, le elaboro solo in forma dicotomica, come se fosse tutto bianco o nero: «ma alla fine dottore guarirò o no?!». Questa clip di seguito, tratta dalla serie Grey’s Anatomy, mi sembra rendere bene questa dinamica. Una donna sieropositiva rimane incinta; in un primo momento decide di abortire perché non vuole trasmettere al figlio o alla figlia l’HIV.
Come vedete la donna deve sforzarsi a riflettere in termini di probabilità percentuali e la dottoressa deve insistere; diversamente, per quanto le percentuali siano precise, alla fine per noi sarà sempre un rischio 50% e 50%, ovvero un azzardo.
Due eventi vicini non sono uno la causa dell’altro
Infine, come succede a Bologna, ricevere le stesse informazioni ripetute, date in momenti contigui, facilmente le collegheremo. Qualche giorno fa muore una ragazza per aver assunto un vaccino anti-Covid-19 con sistema a vettore virale, subito dopo il Ministero della Salute dà indicazioni perché questo tipo di vaccini siano somministrati solo a chi ha più di sessanta anni; anche chi ha meno di sessanta anni farà il richiamo con un altro tipo di vaccino. La morte della ragazza è correlata alla decisione del governo, due eventi vicini vengono consderati uno la causa dell’altro, generando incertezza e ansia.
Scienza, politica, informazione e linguaggio
Alla scienza abbiamo affidato le nostre speranze di salvezza, da essa ci aspettiamo risposte certe e univoche, gli immunoligi e i ricercatori sono i nuovi opinionisti. Ma gli scienziati ragionano in modo opposto a come facciamo (e fanno) nella vita di tutti i giorni, le risposte che ci danno sono basate sui dati, sulle probabilità statistiche, sulla falsificazione delle ipotesi che costruiscono nella ricerca. Hanno un linguaggio lontano dai nostri meccanismi di ragionamento, quasi opposto, e rischiamo di rimanere delusi, confusi e spaventati, come sta succedendo, per quanto vengano citate ricerche e studi.
Il CTS (comitato tecnico scientifico) che di volta in volta si forma per aiutare i governati nelle politiche e nelle decisioni sia sanitarie sia di altro tipo, come pure altre forme di gruppi di studiosi che forniscono indicazioni basandosi sulla ricerca danno sì informazioni e linee guida di qualità, ma che non possono essere certe come vorremmo, non perché non lo siano alla prova dei fatti, non lo sono per la nostra psicologia. Allora, quello che è una probabilità necessita di essere tradotto in una indicazione certa, e per fare questo è a mio avviso necessario che la politica si assuma questa responsabilità; e non solo la politica, ma anche i mezzi di informazione.
Per il nostro bisogno di certezze è necessario che chi ci parla lo faccia sì rimandando al lavoro degli studiosi e basandosi sulla ricerca scientifica, ma al tempo stesso è necessario anche che lo faccia fornendo informazioni univoche e comprensibili, secondo il modo di ragionare che ci accomuna come persone, tutti quanti, scienziati compresi.