Il fatto di cronaca recente che ha visto una ragazza giovane, Sara, agredita, uccisa e poi bruciata nella propria automobile da parte del fidanzato ha scosso gli animi di tutti. Il turbamento è stato ancora maggiore quando si è venuto a sapere che due motociclisti erano passati poco prima dell’omicidio e avevano visto la coppia litigare senza intervenire e portare aiuto. Solo più tardi, ripercorrendo di nuovo la strada e vedendo la polizia sul luogo del delitto, hanno poi deciso di andare a rendere testimonianza il giorno dopo alle forze dell’oridine.
Questo evento ha prodotto sui giornali molti commenti e l’interpretazione più comune che ho potutto leggere del comportamento di mancato aiuto è che vivamo in una società egoista, priva di valori civili e di solidarietà.
Certamente è una opinione più o meno condivisibile, ma a mio avviso troppo semplice e poco utile a spiegare il comportamento di mancato aiuto, comportamento non raro e che si manifesta in circostanze diverse e non necessariamente così estreme, come acorgersi di una persona che fa una piccola violazione, oppure soccorrere velocemente per strada chi è scivolato.
Nel 1964, a New York, una raggazza di nome Kitty Genovese fu aggredita e uccisa nel suo appartamento dal suo ragazzo, Winston Moseley, che fu poi arrestato e condannato all’ergastolo, che sta ancora scontando. Quello che è interessante è che il «New York Times», come i nostri giornali di oggi, diede la notizia dicendo che ben 38 persone, che vivevano negli appartamenti vicini a Kitty, erano state testimoni dell’aggressione, o, meglio, avevano sentito le grida di Kitty e il litigio, ma nessuno era intervenuto.
Questo fatto, non molto diverso da quello che abbiamo letto nei giornali pochi giorni fa, e, purtroppo, non diverso da altri che ultimamente ascoltiamo ai notiziari e leggiamo e che vedono protagoniste le donne, è stato all’origine di una spiegazione psicologica del nostro comportamento di mancato aiuto.
Perché nessuno intervenne per salvare la povera Kitty? Perché noi non interveniamo quando ci troviamo in situazioni pubbliche dove rileviamo una ingiustizia o una violazione? Men che meno in situazioni estreme? Perché non ci comportiamo come il buon samaritano di biblica memoria?
Premesso che le situazioni hanno mille variabili e, tra queste, anche la paura. Per esempio, nel caso di Sara, per i due ragazzi che sono passati, vedere due persone che litigano di notte, in una zona buia e isolata e, magari, mal frequentata, comporta un timore per la propria incolumità che non va certo sottostimanto, né giudicato secondo criteri morali. Tuttavia, anche se vediamo che una persona in pubblico getta una carta per strada, con lì di fianco il cestino, il più delle volte nessuno dice nulla, e più siamo, meno diciamo, non è solo una questione di «menefreghismo sociale».
Due studiosi di psicologia sociale, Bibb Latanè e Jonn Darley, hanno individuato tre meccanismi che entrano in gioco nelle situazioni in cui le persone presenti non intervengono:
- La diffusone di responsabilità ovvero, quando siamo in una situazione sociale con più persone, tutti si sentono meno impegnati a intervenire, quasi che la responsabilità venisse diluita tra i presenti. Quando invece c’è una persona sola, questa si sente chiamata a intervenire, non c’è nessun altro che lo può fare al posto suo.
- La mancanza di informazioni («ignoranza pluralistica»). Le situazioni drammatiche sono anche situazioni eccezionali e per questo sconosciute. Spesso noi stessi ci troviamo spaesati e non sappiamo cosa fare, questo comporta che l’unico modo per capire come agire è prendere informazioni dal comportamento degli altri: se nessuno agisce, questo mi dice che si fa così e nemmeno io agisco. Un esempio molto lampante ci viene dalla vita di tutti i giorni. Non so se vi è mai capitato di vedere una persona per strada che cade, magari succede proprio davanti a voi, ma non così vicino per poter reagire subito, e non siete soli, passa un attimo in cui nessuno fa nulla, poi, appena qualcuno si muove, tutti cominciano a muoversi all’unisono. Ebbene, chi si attiva per primo, manda un messaggio agli altri che lo imitano, così, per esempio, per uno che chiama il pronto soccorso, immediatamente ce ne sono altri tre che estraggono il telefonino.
- L’inibizione sociale. Quando si è in una situazione pubblica, la presenza degli altri come spettatori può crearci un livello di imbarazzo, di ansia per come ci comportiamo al cospetto degli altri, ansia che può bloccarci.
Questi tre aspetti, sommati, portano a quella mancanza di azione che troppo facilmente nell’interpretazione del senso comune si trasforma in giudizi di egoismo, di perdita della solidarietà sociale e di senso civico.
Questi stessi aspetti sono ben conosciuti nella sicurezza sul lavoro e nei protocolli di emergenza. Il fatto che ci sia una persona addetta per esempio al pronto soccorso, oppure a dare l’allarme in caso di incendio, facilita comportamenti immediati e contrasta la diffusione di responsabilità, l’ignoranza pluralistica e l’inibizione sociale. Avere la fortuna, nel momento che ci si sente male, per esempio in una sala cinematografica, di avere un medico in sala, non è solo perché sa cosa fare, anzi, potrebbe nella maggior parte dei casi fare ben poco, ma è una fortuna perché, per il proprio ruolo professionale, sarà la persona che si sente chiamata a intervenire immediatmente e sarà facilmente la prima a portare soccorso. E se in un negozio affollato c’è anche solo una persona che appartiene alle forze dell’ordine, ma fuori servizio, e vediamo qualcuno che viola una regola banale come buttare una cartaccia per terra, con molta probabilità interverrà, perché, proprio per il ruolo che ricopre, è libero dal meccanismo della diffusione di responsabilità.
Non siamo tutti codardi o tutti eroi, non siamo tutti insensibili e paurosi, ma siamo persone che vengono influenzate anche, e credo soprattutto, dal contesto in cui si verificano gli eventi.
Conoscere però questi meccanismi ci rende più consapevoli e, forse, più pronti e magari, la prossima volta che succede qualcosa di imprevisto, pensandoci, saremo più portati a intervenire.