Abbiamo visto come lo stress sia una condizione inevitabile della nostra vita. Molti sono gli annunci che si trovano nella rete per evitare lo stress. Abbiamo persino visto che le vacanze stesse, che da un lato dovrebbero essere rigeneranti, possono essere una fonte di stress. Eppure vi sono le spa con i percorsi antistress, i massaggi antistress, le docce di luce antistress, i viaggi antistress e persino le caramelle e le insalate antistress. Tutto è antistress, ma come mai alla fine però ci si trova a volte più insoddisfatti e stressati che non il contrario?

La psicologia ha cercato di capire come sia possibile gestire lo stress e farvi fronte. Ha utilizzato il termine coping per indicare tutte le strategie psicofisiologiche, cognitive e comportamentali volte a ridurre le conseguenze negative dello stress.

Una parte importante dello stress è la percezione di controllo. Molte delle strategie che vengono ideate e suggerite sono sempre e comunque in funzione del recupero di una sensazione di controllo. Quando ci sentiamo in affanno, sovraccaricati, sottoposti a richieste maggiori delle nostre capacità di rispondere, allora non solo siamo in una condizione di stress, ma il primo istinto è quello di staccare la spina, allontanarci per ricaricare le pile, per riprendere il controllo delle nostre forze, della nostra capacità di rispondere e anche del nostro tempo.

Questo è un modo di far fronte allo stress, ma ve ne possono essere altri, in generale la psicologia ha individuato tre grandi categorie di strategie di coping:

  1. Coping centrato sul problema.
  2. Coping centrato sulle emozioni.
  3. Coping centrato sul sintomo.

In sostanza, quando ci troviamo sotto stress, le strade che abbiamo sono tre, rimuovere l’origine dello stress, evitarla oppure cambiare modo di vederla.

Proviamo a fare un esempio concreto: la mattina mi alzo con l’intenzione di andare a fare un po’ di sport, magari a correre. Tutto contento mi comincio a preparare e mentre mi sto allacciando le mie scarpette da corsa mi si rompe un laccio, in modo tale che non posso più allacciare la scarpa. Cosa faccio?

Mi trovo in una situazione frustrante, e pertanto vagamente stressante, posso:

  1. Mettermi a imprecare nei modi più coloriti di questo mondo, arrabbiandomi. In questo caso reagisco alla frustrazione esprimendo un’emozione: chiamo questo coping centrato sulle emozioni.
  2. Cominciare a pensare a modi alternativi per allacciarmi la scarpa: cerco un laccio di un’altra scarpa, magari anche elegante, infischiandomene dell’estetica, cerco di annodare le estremità del laccio rotto, cerco in casa un altro paio di scarpette, che avevo dismesso. In tutti questi casi provo a mettere in atto una serie di comportamenti per risolvere il problema, ovvero: esercito il coping centrato sul problema.
  3. Mi concentro sulle emozioni negative che questo evento mi procura, provo a gestirle, provo a calmarmi e a trasformare in positiva o neutra la rabbia che la situazione mi ha provocato. In questo caso mi concentro sui sintomi dello stress e faccio così coping centrato sul sintomo.

Queste tre cose posso farle anche contemporaneamente, magari prima impreco, poi mi fermo un attimo e faccio un bel respiro e mi metto infine a cercare una soluzione.

Purtroppo nella vita c’è ben di peggio del fatto di trovarsi con un laccio rotto, le situazioni che abbiamo visto nel post precedente ne sono un valido esempio, e situazioni differenti portano a privilegiare una strategia piuttosto che un’altra. Se perdo una persona cara posso negare la perdita, posso cercare di lenire il dolore parlandone con un amico o amica, posso mettermi subito a fare quanto è necessario per ritornare nelle abitudini e nella routine di sempre, posso cercare abitudini nuove, oppure posso prendere un farmaco che mi abbassi l’ansia della perdita e la tristezza, anche qui mi concentro di volta in volta su emozioni, sul risolvere problemi, sull’evitamento o sulle conseguenze emotive negative della perdita.

Tuttavia vi sono persone che privilegiano un modo piuttosto che un altro nel gestire lo stress e nel riprendere il controllo di se stesse.

Per esempio, c’è chi reagisce alle situazioni negative cercando subito informazioni su come risolvere il problema, cerca consigli, studia la situazione, prova a buttare giù possibili soluzioni e verifica se queste, una volta messe in atto, funzionano.

C’è invece chi si ritira su se stesso, oppure rinuncia, oppure si lamenta o prova a scaricare la tensione in qualche altro modo.

Certo è che la cosa più importante, quando siamo in una situazione stressante, è cercare di valutare bene cosa possiamo cambiare, cosa invece non possiamo cambiare e quello che possiamo cambiare in noi stessi. Questi tre aspetti, apparentemente semplici, sono i più complicati, ma sono anche il segreto per una gestione efficace dello stress.

Se la situazione in cui ci troviamo non è modificabile, utilizzare strategie orientate al problema può divenire frustrante, al punto da generare ulteriore stress, a quel punto conviene concentrarsi sui sentimenti che la situazione ci provoca, oppure trovare modi per vivere quel particolare momento in modo diverso. Al contrario, se possiamo agire, ritirarsi o concentrarsi su aspetti unicamente interni, che riguardano le nostre emozioni, risulta alla lunga invalidante. Ci blocchiamo.

Le proposte su come gestire lo stress, dal bagno di fieno, al fare sport, al volontariato, alla meditazione, al trovarsi degli amici, non sono di per sé sbagliate, possono risultare inutili e frustranti nella misura in cui vengono applicate in modo sbagliato.

Se odio il mio lavoro ed è per me una fatica andare in ufficio tutti i giorni, certo che la soluzione più semplice è cambiare lavoro, tuttavia posso ritenermi incapace di farlo, posso pensare che nessuno mi vorrà, oppure la crisi economica è così forte oggi che possiamo ritenerci fortunati ad avere un lavoro. La soluzione in tutti questi casi è concentrarmi sulle emozioni negative che il lavoro mi dà, provare a scaricarle in qualche modo (facendo attività fisica, parlando con amici, meditando), oppure posso cominciare a considerare il lavoro in modo diverso oppure, ancora, dedicarmi a gestire al meglio gli effetti negativi di questa situazione trovando uno spazio mio su cui sento di avere controllo, ma posso anche tentare di vedermi in modo diverso, valorizzare le mie qualità e provare a guardarmi intorno per trovare chi, che cosa e come mi può aiutare a cambiare. Riprogrammare i miei obiettivi, le mie aspettative, cambiare visione su me stesso, riprogettarmi.

Riassumendo, quando sono in una situazione stressante posso procedere nel seguente modo:

  1. Fermarmi.
  2. Ascoltare le mie emozioni e nominarle, permettermi rabbia e tristezza, se possibile condividerle (questo aiuta a regolarle, ovvero a renderle meno invadenti).
  3. Valutare la fonte dello stress, ovvero cercare di rispondere alla domanda: «Cosa posso cambiare?» (la fonte, le emozioni che mi provoca, me stesso).
  4. Ipotizzare possibili soluzioni legate al cambiamento, magari anche attraverso la creatività, ovvero non censurando nessuna idea che vi può venire in mente, per quanto balzana.
  5. Sceglierne una e provare a metterla in pratica.
  6. Valutare se la soluzione scelta funziona.
  7. Provare e riprovare… Questi passaggi non sono mai immediati e automatici, richiedono costanza e, soprattutto, autoconsapevolezza.

Ogni situazione può essere potenzialmente stressante, ma mi piace credere che può avere una soluzione: cambiare la situazione, cambiare me, cambiare la mia percezione della situazione stessa.

Fare coping è proprio questo, e tutti noi lo facciamo, spesso in automatico, spesso senza pensare che sia coping. Per questo mi piace concludere con una lunga citazione di David Foster Wallace, dal suo discorso tenuto al Keyton College il 21 maggio 2005, relativo alla cultura. Qui si può vedere come l’autore, in un certo momento, faccia coping, concentrandosi sulla sua capacità di cambiare il proprio punto di vista. Wallace alla fine attribuisce questa capacità alla vera cultura, ma qui vorrei sottolineare come affrontare lo stress sia anche, e soprattutto, una questione di consapevolezza, decisione e capacità di sviluppare un punto di vista differente:

«”Imparare a pensare” di fatto significa imparare a esercitare un controllo su come e su cosa pensare. Significa avere un minimo di consapevolezza che permette di scegliere a cosa prestare attenzione e di scegliere come attribuire significato all’esperienza. […]

Mettiamo, per dire, che sia una normale giornata della vostra vita di adulti: la mattina vi alzate, andate al vostro impegnativo lavoro impiegatizio di laureati, sgobbate per nove o dieci ore e alla fine della giornata siete stanchi, siete stressati e volete solo tornare a casa, fare una bella cenetta, magari rilassarvi un paio d’ore e poi andare a letto presto perché il giorno dopo dovete alzarvi e ripartire daccapo. Ma a quel punto vi ricordate che a casa non c’è niente da mangiare – questa settimana il vostro lavoro impegnativo vi ha impedito di fare la spesa – e così dopo il lavoro vi tocca di prendere la macchina e andare al supermercato. A quell’ora escono tutti dal lavoro, c’è un traffico mostruoso e il tragitto richiede molto più del necessario e, quando finalmente arrivate, scoprite che il supermercato è strapieno di gente perché a quell’ora tutti gli altri che come voi lavorano cercano di ficcarsi nei negozi di alimentari, e il supermercato è orribile, illuminato al neon e pervaso di quelle musichette e canzoncine capaci solo di abbruttire, e voi dareste qualsiasi cosa per non essere lì, ma non  potete limitarvi a entrare e uscire; vi tocca girare tutti i reparti enormi, iperilluminati, e caotici per trovare quello che vi serve, manovrare il carrello scassato in mezzo a tutte le altre persone stanche e trafelate con il carrello, e ovviamente ci sono i vecchi di una lentezza glaciale, gli strafatti e i bambini iperattivi che bloccano la corsia e a voi vi tocca stringere i denti e sforzarvi di chiedere permesso in tono gentile ma poi, quando finalmente avete tutto l’occorrente per la cena, scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte anche se è l’ora di punta, e dovete fare una fila chilometrica, il che è assurdo e vi manda in bestia, ma non potete prendervela con la cassiera isterica, oberata com’è quotidianamente da un lavoro così noioso e insensato che tutti noi riuniti in questa prestigiosa università nemmeno ce lo immaginiamo… fatto sta che finalmente arriva il vostro turno alla cassa, pagate il vostro cibo, aspettate che una macchinetta autentichi il vostro assegno o la vostra carta di credito e vi sentite augurare «buona giornata con una voce che è esattamente la voce della morte […]. Ci siamo passati tutti certo […].

Ma non è questo il punto. Il punto è che la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa. Perché il traffico congestionato, i reparti affollati e le lunghe file alla cassa mi danno il tempo per pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e giù di corda ogni volta che mi tocca fare la spesa, perché la mia modalità predefinita naturale dà per scontato che situazioni come questa contemplino esclusivamente me.  La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare a casa, e avrò la netta sensazione che tutti gli altri mi intralcino. […]

È il modo automatico e inconsapevole di affrontare le parti noiose, frustranti e caotiche della mia vita da adulto quando agisco in base alla convinzione automatica e inconsapevole che sono al centro del mondo, e che sono le mie sensazioni e i miei bisogni immediati a stabilire l’ordine delle cose. Il fatto è che in questi frangenti si può pensare in tanti modi diversi. Nel traffico, con tutti i veicoli che mi si piazzano davanti e mi intralciano, non è da escludere che a bordo dei Suv ci sia qualcuno che in passato ha avuto uno spaventoso incidente e ora ha un tale orrore di guidare che il suo analista gli ha ordinato di farsi un Suv mastodontico per sentirsi più sicuro alla guida; o che al volante dell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada ci sia un padre che cerca di portare di corsa in ospedale il figlioletto ferito o malato che gli siede accanto, e la sua fretta maggiore è più legittima della mia: anzi, sono io a intralciarlo. Oppure posso scegliere di prendere mio malgrado in considerazione l’eventualità che tutti gli altri in fila alla cassa del supermercato siano annoiati e frustrati almeno quanto me, e che qualcuno abbia una vita nel complesso più difficile, tediosa e sofferta della mia. […] Non è molto verosimile, d’accordo, ma non è nemmeno da escludere: dipende solo cosa volete prendere in considerazione. Se siete automaticamente certi di sapere cosa sia la realtà e chi e che cosa siano davvero importanti – se volete operare in modalità predefinita – allora anche voi, come me, probabilmente trascurerete le eventualità che non siano inutili o fastidiose. Ma se avrete davvero imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternative non mancano. Avrete davvero la facoltà di affrontare una situazione caotica, chiassosa, lenta, iperconsumistica, trovandola non solo significativa ma sacra, incendiata dalla stessa forza che ha acceso le stelle: compassione, amore, l’unità stessa di tutte le cose. Misticherie non necessariamente vere. L’unica cosa Vera con la V maiuscola è che riuscirete a decidere come cercare di vederla» [D.F. Wallace, Questa è l’acqua, Torino, Einaudi, 2009, pp. 147-152].