Il tempo degli antichi greci e il tempo di noi contemporanei

 

Gli antichi greci, alle radici della nostra cultura, avevano individuato personaggi mitologici distinti per indicare il tempo.

Da un lato c’era il dio Chronos, che rappresentava il tempo vissuto, lo scorrere delle cose, il tempo di vita così come ne abbiamo esperienza; poi c’era Kairos, che era il dio del «momento giusto», ovvero di quel tipo di tempo che è puntuale, al contrario di Chronos che rappresentava la continuità; c’era infine Aion, che non viene forse neppure considerato un dio, e che rappresentava il tempo eterno, immobile e immanente, un tempo infinito e sospeso senza inizio né fine.

Questi dei raccontano molto di come il tempo venisse allora percepito e sorprende come non sia diverso da oggi.

Dal punto di vista della nostra esperienza ci sono infatti momenti particolari, in cui ci troviamo a fare cose al momento giusto, né prima né dopo, in cui ci ritroviamo in una precisa situazione, che possiamo anche considerare fortunata; dove, in altre parole, siamo come sintonizzati con la vita, e ci sentiamo opportuni, quasi in stato di grazia, con sentimenti di felicità.

Poi c’è il tempo che passa, che contiene tutto, anche il Kairos, e questo è Chronos: quello che facciamo e ci succede nello scorrere della nostra vita. La cosa che vorrei far notare è che Chronos contiene Kairos e non viceversa, ovvero nel nostro tempo (Chronos) possiamo avere momenti giusti (Kairos), tutti i Kairos sono Chronos, ma purtroppo non tutti i Chronos sono Kairos.

Aion non è un tempo che credo si possa considerare presente nella nostra esperienza, è più una dimensione astratta, di tempo sospeso, trascendentale, in contrasto però a Chronos, che è il tempo lineare e dato dal succedersi degli eventi. Tuttavia, nel pensiero degli antichi, Aion è all’origine di tutto ed è sovraordinato rispetto a Chronos, che a sua volta contiene Kairos, come in un gioco di scatole cinesi.

Questo richiamo alla mitologia antica ci permette di capire come, già nel quinto secolo avanti Cristo, ovvero più di 2500 anni fa, gli esseri umani avessero una cognizione del tempo molto ben articolata e non diversa dalla nostra attuale. Ai nostri giorni questi dei si sono mantenuti, con accezioni leggermente diverse, ma non lontane dall’originale: Chronos è diventato sinonimo del tempo oggettivo, il tempo della Fisica, ovvero quello dei nostri orologi per intenderci, Kairos è invece sinonimo del tempo soggettivo, del nostro tempo percepito, di cui parleremo più avanti.

Il tempo per noi è quello che ci succede un momento dopo l’altro, tanto che lo abbiamo suddiviso anche noi in segmenti: presente, passato e futuro. Il tempo si vive proprio in queste tre dimensioni, ciò che noi percepiamo come tempo è legato agli eventi e a come questi si articolano nel nostro essere tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà.

Io stesso nello scrivere queste righe sento il fluire del tempo nelle parole che sgorgano dalla mia tastiera del computer, quelle che appaiono sul momento sono le parole presenti, quelle che rileggo e delle righe precedenti sono le parole passate e quelle che non ho ancora scritto sono le parole future.

Questa semplice distinzione credo che possiamo considerarla tempo, un grande contenitore dentro il quale mettiamo la nostra vita.

Il tempo però può anche essere rappresentato come fiume (come altri filosofi lo hanno descritto), che scorre continuamente e la cui acqua sono gli eventi, e noi stessi vi siamo immersi e nella sua corrente scorriamo, ed è per questo che ogni momento è diverso da quell’altro.

 

Presente, passato e futuro non sono uguali

 

Se da un lato il tempo possiamo considerarlo sia come un fiume sia come una linea che collega i punti delle cose che ci accadono, dall’altro lato, questa linea sembra essere definita da tre punti principali, il presente, il passato e il futuro. Tuttavia, grazie agli studi condotti da diversi psicologi, tra cui, non ultimo, Philip Zimbardo, si è visto che possiamo dare diverso peso a queste tre dimensioni.

Questo studioso ha infatti definito cinque principali prospettive temporali (qui trovate una sua conferenza al riguardo):

  1. Orientamento al passato negativo
  2. Orientamento al presente edonistico
  3. Orientamento al futuro
  4. Orientamento al passato positivo
  5. Orientamento al presente fatalistico.

Vediamo queste 5 dimensioni e che conseguenze possono avere sulla nostra vita.

L’orientamento al passato negativo è tipico di quelle persone che tendono a focalizzarsi su avvenimenti negativi della propria storia, su ciò che avrebbero dovuto fare e non hanno fatto e su ciò che hanno perso, quasi avessero degli occhiali speciali che evidenziano ciò che è andato male.

L’orientamento al presente edonistico è tipico delle persone che si concentrano su quello che gli procura piacere in quel momento e dimenticano sia il passato sia il futuro. Si concentrano in questo caso sul piacere del momento presente e non si preoccupano di altro.

L’orientamento al futuro invece riguarda la progettualità ed è tipico di chi, al contrario, si concentra su quello che accadrà (nel bene e nel male), dimenticandosi di quello che ha appena vissuto o sta vivendo.

L’orientamento al passato positivo, al contrario di quello negativo, prevede un’attenzione predominante agli eventi del passato che hanno prodotto piacere e successo. In questo caso si prova piacere a pensare ai bei tempi andati, ma in essi troviamo anche tutti i ricordi positivi che riguardano noi stessi, la nostra famiglia, le relazioni significativi e che definiscono la nostra identità.

L’orientamento al presente fatalistico invece ha a che fare con l’interpretazione di ciò che accade. In questo caso le persone che presentano un orientamento preponderante verso questa dimensione temporale hanno una scarsa percezione di controllo sulla propria vita e pertanto è per loro inutile fare piani, in quanto ci sarà sempre qualcosa di esterno che li scombinerà. In questo caso la fortuna e il caso giocano un ruolo importante nella loro vita.

Ogni tipo di orientamento ha delle conseguenze sul nostro modo di vivere, su come prendiamo le decisioni e su come interpretiamo gli eventi, sui nostri ricordi, sulla pianificazione del nostro futuro.

 

Roger Federer e la sua più grande sconfitta: un esempio di buona gestione delle prospettive temporali

 

Il 14 luglio 2019, il più grande giocatore di tennis di tutti i tempi, Roger Federer, 37 anni compiuti, arriva in finale a Wimbledon, il tempio del tennis e il torneo più importante al mondo. È la sua dodicesima finale, mai nessuno era riuscito finora a raggiungere tante finali, l’unico ad aver vinto il torneo 8 volte. Vista l’età sembra la sua ultima grande occasione. Gioca contro un altro grande campione: Novack Djokovic.

Dopo 5 set, 4 ore e 55 minuti di gioco, un tie-break al tredicesimo gioco del quinto set e due match point a favore, Federer cede a Djockovic che vince la finale.

Nell’intervista di rito sul campo, subito dopo la partita, che potete vedere qui sotto, l’intervistatrice dice a Federer: «Hai giocato una magnifica finale che noi ricorderemo per sempre», Federer risponde: «Proverei a dimenticarmela!».

 

 

Federer chiude l’intervista dicendo: «È stata una settimana fantastica, sono papà e marito, va tutto bene!».

Nei giorni appena prima dell’apertura dell’US Open di New York iniziato il 26 agosto 2019, torna a parlare della sconfitta e dichiara:

«Ho faticato un po’ nei primi giorni. Allo stesso tempo, ero in giro con i miei bambini. Non ho avuto molto tempo per pensare alle opportunità mancate. Apparecchiavo la tavola e organizzavo la giornata dei miei quattro figli, guidando nella campagna svizzera. Alcune volte ho avuto flashback del tipo “avrei potuto fare quello, o avrei dovuto fare quell’altro”. Altre di fronte ad un bicchiere di vino con mia moglie riflettevo sul fatto che nella semifinale e nella finale ho giocato molto bene. Sono delle fasi. Mi sono serviti giusto un paio di giorni per togliermi queste cose dalla testa. Poi mi sono tornate un po’ quando ho ripreso in mano la racchetta» [Fonte: Ubitennis.com].

Questo evento ci permette di vedere come Roger Federer ha elaborato la sconfitta, ma, soprattutto, nel primo commento a caldo, come l’attenzione si concentri su quelle che sono state le cose positive del match e della settimana (il percorso di successo fino alla finale), su come si sente nel momento presente («Fisicamente sto bene», nonostante i 37 anni) ciò che ha e ciò che ha acquisito come persona e ciò che è diventato (non solo campione di tennis, ma anche padre e marito).

In quei momenti subito dopo la sconfitta, il suo orientamento temporale è al passato positivo, ma al tempo stesso non nega ciò che è accaduto e nell’intervista raccolta all’inizio degli US Open – circa un mese e mezzo più tardi -, si vede come abbia poi successivamente spostato l’attenzione anche sul presente, come ciò lo abbia aiutato a non cadere nella ruminazione, nel rimpianto e gli permetta di guardare al futuro.

Credo che in questi pochi scambi si possa cogliere come un buon bilanciamento negli orientamenti temporali ci permetta di vivere la nostra esperienza pienamente e di gestire al meglio anche eventi negativi e traumatici.

Zimbardo stesso identifica un profilo ottimale delle nostre prospettive temporali che Roger Federer ben rappresenta. È il seguente:

Prospettiva temporale

Livello

Orientamento al passato positivo

Alto

Orientamento al futuro

Medio-alto

Orientamento al presente edonistico

Medio

Orientamento al presente fatalistico

Basso

Orientamento al passato negativo

Basso

 

Quando perdiamo il tempo

 

Sbilanciarsi su un particolare momento del tempo, orientandosi solo al passato, oppure al presente o anche al solo futuro ha invece conseguenze negative per i nostri vissuti e per il nostro benessere.

Una prospettiva temporale orientata al passato negativo ci rende vulnerabili al rimpianto, alla ruminazione, a pensieri negativi e ciò ci impedisce di progettare o di gustare quanto di positivo il presente ci dà.

Una prospettiva temporale orientata al futuro ci sbilancia dalla parte opposta e ci impedisce di godere dei successi ottenuti nel presente o nel passato e di fare un’analisi dell’andamento dei nostri progetti. In questo caso lo spostamento sul futuro può aiutare sì la progettualità, ma solo se in un contesto che tenga conto del presente e del passato, altrimenti diviene una costante fuga in avanti che porta con sé insoddisfazione e spesso anche ansia.

Una prospettiva temporale orientata unicamente al presente edonistico invece ci può portare, al contrario, a non fare progetti e a non prevedere eventuali conseguenze (sia negative sia positive) delle nostre azioni e decisioni. Lo stesso vale per un orientamento unicamente al presente fatalista, che ci può rendere impotenti e lontani da una qualsiasi programmazione.

Poter gestire le prospettive temporali, bilanciando così presente, passato e futuro aiuta il benessere psicologico. Vi sono alcune leve che possono aiutarci in questo.

L’ottimismo realistico (di cui o parlato in questo post), permette di ideare progetti futuri e ci aiuta ad avere un orientamento al futuro medio-alto.

Sviluppare buone capacità di perdono (come ho mostrato in questo post) permette di prendere le distanze dagli eventi del passato che ci hanno ferito e non rimanere agganciati a una prospettiva temporale orientata al passato negativo, favorendo invece un orientamento al passato positivo.

La gratitudine a sua volta permette di gestire al meglio i bilanci con il passato, portando attenzione alle cose buone che ci sono accadute (come ho trattato nel post sulla crisi di mezza età) e aumentando così il nostro orientamento al passato positivo.

La capacità di fermarsi nel presente (come ho trattato in questo post e in quello sulle vacanze) favorisce una prospettiva temporale equilibrata, con un orientamento al presente edonistico di livello medio.

 

Essere e tempo

 

Parafrasando una importantissima opera del filosofo Martin Heidegger, possiamo dunque dire che noi siamo il nostro tempo. Il tempo vissuto ci permette di organizzare la nostra esperienza, che diviene narrazione di noi nel passato, definizione di noi stessi nel presente e progettualità nel futuro.

Essere consapevoli del nostro tempo, sapere vivere il presente, poter progettare grazie al senso del futuro e contestualizzare e narrarci grazie al senso del passato sono capacità essenziali per una vita in pieno contatto con noi stessi e la nostra esperienza (ovvero con tutto ciò che ci accade intorno e che viviamo), per comprenderci a fondo e poter anche cogliere gli aspetti positivi della nostra vita e così sostenere il nostro benessere psicologico e conquistare la felicità.