Spoiler Alert! ATTENZIONE! Il post contiene contenuti che rivelano in parte il finale della serie

 

Negli ultimi tempi ho avuto occasione di vedere un serie TV chiamata Russian Doll, che consiglio non solo per la particolarità della storia, ma anche, e soprattutto, perché rappresenta, in modo metaforico, un buon esempio dei meccanismi psicologici che ci portano a mettere in atto comportamenti ricorrenti nel bene, ma, soprattutto, nel male.

Un aspetto che infatti ricorre nella mia esperienza di psicoterapeuta riguarda il fatto che le persone tendono a ripetere e ripetere gli stessi schemi. Non è raro sentirsi fare domande del tipo: «Dottore, perché mi innamoro sempre di persone così?» oppure: «Dottore, perché continuo a fare gli stessi sbagli?!».

 

Schemi ripetitivi

 

Russian Doll è la storia di una ragazza, Nadia, nel giorno del suo trentaseiesimo compleanno. La serie si apre con Nadia che si guarda allo specchio nel bagno di un appartamento, nel pieno centro di New York, della sua amica che le ha organizzato la festa di compleanno.

La protagonista è una ragazza molto disincantata, al limite del cinico, una programmatrice geniale di videogiochi.

La festa organizzata per lei è frequentata da moltissime persone che non conosce, quasi che il compleanno fosse più una scusa per la padrona di casa e la sua compagna per ricevere persone.

Esce dal bagno e si incammina tra ospiti più o meno conosciuti, molto a suo agio. A un certo punto incontra un professore universitario di letteratura, che rappresenta il tipo di persone invitate, di una New York alternativa, benestante e di alto livello culturale, un po’ radical chic.

Nadia flirta con questo professore e lasciano insieme la festa, per andare a casa di lei. Mentre sta attraversando la strada, distratta per aver visto dall’altro lato il suo gatto che credeva di aver perso, viene investita da un’auto e improvvisamente si ritrova di nuovo nel bagno dell’appartamento della sua amica, dove è iniziata la serata e la puntata.

Sorpresa e costernata, attribuisce questa esperienza all’uso di droga, che consuma alle feste, per svago e disinibizione, tanto da cercare il suo pusher per chiedergli che tipo di droga le ha venduto, ma poi, non arriva alla fine del giorno e, per un altro incidente, muore e si ritrova di nuovo nel bagno della festa; torna fuori, parla di nuovo con l’amica che le ripete le medesime battute che aveva sentito in precedenza, esce nel pianerottolo, cade per le scale battendo la testa e di nuovo si ritrova nel bagno dove era prima.

Questo accade per diverse volte nella serie, fintanto che non incontra un altro ragazzo che sta vivendo una esperienza analoga, in cui però si ritrova a vivere lo stesso giorno in cui viene lasciato dalla sua ragazza, proprio nel momento in cui decide di chiederle di sposarlo.

 

Ricomincio da capo

 

La cosa interessante della serie, che riprende il tema di un altro famoso film dei primi anni ’90, Ricomincio da capo, è vedere come Nadia e il suo compagno di sventura continuino, nel tentare di trovare una strada per uscire da questo empasse temporale, a ripetere gli stessi schemi e, fintanto che non cambiamo comportamento e, soprattutto, modo di concepire se stessi e le persone che gli stanno intorno, il tutto si ripete volta dopo volta, senza che riescano ad uscire da questa specie di limbo in cui sono caduti.

Non solo, la ripetizione continua dello stesso schema di comportamento, negli episodi, si accompagna a una perdita di alcuni elementi della vita intorno a loro. Ogni volta che si ritrovano al punto di partenza manca qualcosa del loro ambiente: ci sono meno persone alla festa o meno oggetti attorno a loro, come se si impoverisse il loro mondo e si rimpicciolisse.

Questo accade nella realtà quando proviamo ad affrontare le difficoltà e le richieste dell’ambiente comportandoci sempre allo stesso modo. A fronte del fatto che i comportamenti reiterati non portano risultati, cominciamo a sentirci impotenti, a chiuderci in noi stessi, a evitare le situazioni che sentiamo frustranti, a limitare i contatti con altri, a ridurre la nostra rete di relazioni sociali. Il nostro mondo si rimpicciolisce.

Esiste una forza che ci spinge a volte a comportarci in un modo sempre uguale. Già Freud l’aveva notata e l’aveva chiamata «coazione a ripetere», a indicarne la rigidità e l’ineluttabilità.

In questi casi ci ritroviamo ad applicare schemi che un tempo erano funzionali, ma che ora non lo sono più, ma nonostante questo non riusciamo a fare a meno di continuare ad usarli, aumentando così il nostro livello di frustrazione e sofferenza.

 

La difficoltà a cambiare

 

Cambiare non è mai facile e per cambiare è necessario:

  1. essere consapevoli che bisogna cambiare;
  2. essere consapevoli di ciò che vogliamo cambiare;
  3. sentirci in grado di cambiare;
  4. gestire la paura che il cambiamento comporta: dalla paura di fallire alla paura di perdere la propria autostima, l’amore delle persone per noi importanti, la considerazione positiva e la stima degli altri significativi.

Nadia in un primo tempo vive questa esperienza con estremo cinismo, decide quasi di ignorare il loop temporale in cui è caduta e continua così con un atteggiamento disincantato, sprezzante degli altri, orientato a sé stessa.

Le relazioni che intraprende sono effimere, non si coinvolge in esse, si difende con l’ironia e il sarcasmo dal timore di impegnarsi e, soprattutto, di rimanere delusa.

 

Prendersi cura di sé bambini

 

 Lo schema di Nadia nel costruire le sue relazioni è improntato alla ricerca di una autonomia e indipendenza che possa difenderla dall’aspettativa che l’altro la deluderà, non rispondendo o rispondendo in modo errato ai suoi bisogni.

Nadia non vuole essere dipendente, non vuole avere bisogno di aiuto, cerca di compensare questo bisogno in due modi: avvicinandosi agli altri senza però coinvolgersi con loro, come fa con il professore, ma solo per il tempo necessario per interagire rispetto ai propri obiettivi: l’avventura di una notte o evitando il capo e la riunione di lavoro a cui alla fine va e dove mostra che sono gli altri a sbagliare e non lei, evitando così che le vengano attribuite colpe che giustamente non ha.

In effetti, facendo così riesce a difendersi dalle persone manipolatorie, ma nella ricerca della autonomia assoluta non riesce a relazionarsi con le persone accudenti e sinceramente interessate a lei, perché la sua esperienza è che non si può fidare degli altri, altrimenti sarà tradita, delusa o, peggio ancora, manipolata.

Piano piano, tuttavia, comincia a chiedersi cosa può fare per uscire da questo schema ripetitivo e si rivolge alla persona che l’ha accudita, al posto della madre, in tutti questi anni, una psicoterapeuta a cui comincia a chiedere di sé e della sua storia.

Inizia così un percorso a ritroso nella sua vita, dove ricorda la madre, inaffidabile, paranoica e violenta, incapace di darle sicurezza affettiva.

Nella serie vengono riportati dei flashback in cui si vede Nadia da bambina testimone dei deliri e della violenza della madre. In queste situazioni l’unica figura positiva è la psicoterapeuta amica di famiglia, che si è fatta carico di lei e della madre stessa, accogliendole nella sua casa.

Nadia in una puntata si riferisce proprio alla psicoterapeuta, va a trovarla a casa e le chiede di quando era bambina, di sé e di sua madre;  ci torna inoltre con il suo compagno di sventure nel tentativo di trovare una risposta. Questa psicoterapeuta è per Nadia l’unica figura di cui si fida e a cui chiede aiuto.

Il vero punto di svolta si ha in una scena in cui, in un bar, si ritrova a morire per l’ennesima volta. Qui rivede sé stessa bambina e questa bambina le chiede: «Quando ti deciderai a lasciarmi andare?».

Questa domanda, significa, in altre parole, chiedersi quando Nadia smetterà di comportarsi in modo distruttivo, disimpegnato, e deciderà di accettare la propria fragilità di bambina da un lato e farsi carico dall’altro di sé stessa.

 

 Spezzare gli schemi ripetitivi

 

Il cambiamento di Nadia e, direi, lo spezzare i suoi schemi ripetitivi, porta con sé il rischio di ammettere che non si è onnipotenti, che possiamo essere deboli e bisognosi di aiuto, che vi possono essere persone che possono interessarsi a noi  e avere cura di noi. Porta con sé inoltre il rischio di fidarsi dell’altro, di superare la paura di venire delusi se non vorrà aiutarci.

In effetti, data l’esperienza di Nadia da bambina, con una madre totalmente inaffidabile, da adulta ha imparato a non fidarsi di nessuno, anzi, a disprezzare e diffidare di ogni tentativo di vicinanza e di aiuto, tanto da scegliere anche, come accade con il professore universitario incontrato alla festa, uomini del tutto  irresponsabili e orientati al proprio interesse e bisogno, e a rifiutare chi, come il suo compagno di sventure, la vuole invece aiutare e sostenere.

Questo mantiene lo schema e lo ripete: dal momento che scelgo persone su cui so che non posso contare, confermo così la convinzione che non posso fidarmi di nessuno e ciò mi rende coerente.

Nella serie infatti entrambi i personaggi, quando cambiano, tentano di salvare i loro rispettivi, che non vogliono ascoltarli, perché ascoltarli significherebbe che hanno bisogno, che sono limitati, ma riescono a rompere lo schema e a cambiare, proprio nel momento in cui accettano la loro limitatezza, fidandosi dell’altro e ascoltandolo.

Cambiare significa prima di tutto divenire consapevoli che quello che ripetiamo ossessivamente è uno schema sbagliato, accettare così che possiamo sbagliare, ma spesso confondiamo il fatto che possiamo sbagliare con l’idea che siamo sbagliati, per cui non apprezzabili e non amabili e così, in un cinismo disincantato e vittime di una profezia che si autoavvera, continuiamo a comportarci in modo da allontanare gli altri, per evitare di esserne delusi e traditi o criticati e disprezzati, ma facendo così non facciamo altro che alimentare il nostro senso di solitudine e impotenza.

Spesso il primo passo per cambiare è accettare la parte bambina e fragile che è in noi (come ho discusso in questo post), ammettere che esiste e non rifiutarla a oltranza, ma cominciare invece a prendersene cura e rompere così lo schema ripetitivo che ci riporta allo stesso punto, come per Nadia in quello stesso bagno.

Quando so di essere debole è allora che sono forte.